Sono maschi e femmine di età compresa tra i 10 e i 15 anni, camminano sempre in branco e indossano pantaloni larghi, magliette sformate, berretti scuri e occhiali da sole, anche di notte. Amano gli orologi, specie quelli griffati e un po’ pacchiani, che esibiscono come trofei, mentre terrorizzano le vie d’Italia, armati, magari, di una mazza, un tirapugni o un coltello.

Si tratta delle baby gang: fenomeno di microcriminalità urbana, nato nei paesi di cultura anglo-sassone ma, ben presto, importato e radicatosi anche nel Belpaese. Non c’entrano nulla con i casi di bullismo o le “paranze dei bambini” narrate da Gomorra: dai primi si distinguono per la maggiore aggressività e il livello di organizzazione, quasi militare, con cui agiscono; dai secondi, perché sono estranei alla delinquenza, o meglio, al suo apparato strutturato. Non sono figli di boss, ma semplici ragazzini (poco più che bambini), che, con la sfrontatezza e il ghigno dei peggiori delinquenti, passano il giorno per strada o tra i baretti, prendendo di mira turisti e passanti, coetanei e non, che non osano minimamente ribellarsi, per evitare una reazione che potrebbe anche essere peggiore dell’offesa subita.
I membri del branco si sentono invincibili, perché sostanzialmente impunibili per il nostro ordinamento penale, e, per questo, picchiano, rubano, umiliano e non scappano, neanche di fronte alle forze dell’ordine o ai militari (come avvenuto sabato scorso sul Lungomare Caracciolo), che, anzi, affrontano, impettiti, quasi pronti a farci a botte, incitati da urla di ragazzine schiamazzanti.

Il fenomeno delle baby gang inquieta. Inquieta le istituzioni e i cittadini. Inquieta i genitori delle vittime e dei loro coetanei, i ragazzi a scuola, che non sanno come starne alla larga e, lo ammetto, inquieta anche me, che, certo non provengo da una realtà in cui la violenza o la criminalità sono aliene, ma che, ciononostante, mi fa sentire inerme e impreparato. Forse perché inizio a crescere e a pensare a un futuro, magari con dei figli, che potrebbero, un giorno, divenire vittima o complici di questi teppisti, senza che io possa in alcun modo proteggerli o, forse, per il fatto che per Napoli e tutto il Meridione, prevedo un avvenire in stile Sud America, in cui ragazzi, che scimmiottano i boss di zona, sparano liberamente per le strade, chiedendo tangenti o spacciando droga.
Certo, serve maggiore controllo e sicurezza nelle città, ma necessitano, altrettanto, più LAVORO e SCUOLA, intesa, non solo, come luogo di cultura ma di formazione della persona. Serve investire nell’insegnamento e nei centri di aggregazione virtuosi, che impegnino questi “cuccioli”, che, magari, provengono da famiglie disagiate o problematiche, insegnando loro, finché si è in tempo, valori diversi da quelli che oggi offre la TV o il web. Occorre intervenire a monte e con tempestività per salvare una generazione, quella dei nostri figli o fratelli minori, che rischia di pagare un conto salato, forse troppo, per colpa nostra, che non li abbiamo fermati quando era necessario.